Fabian Valtolina, una carriera giocata di corsa
Quattro chiacchiere con Fabian Valtolina protagonista in Serie A con le maglie di Piacenza e Venezia.
Fabian Valtolina fa parte di quella schiera di giocatori che hanno scritto pagine importanti di storia nella provincia calcistica. Dagli esordi nel Bologna di Ulivieri, alla parentesi con il Chievo di Malesani, alle salvezze in A con Piacenza e Venezia. Dal gol in rovesciata alla Roma, ai fraseggi con Recoba, all’esperienza “esotica” con la Nazionale Padana. Insomma, una carriera vissuta fino all’ultima corsa che abbiamo voluto ripercorrere insieme in una bella chiacchierata telefonica.
Se scrivi su Youtube Valtolina il primo risultato che esce è “Piacenza-Roma 3-3, la rovesciata di Valtolina”. Si tratta di un video dove si vede un uomo in maglia rossa volare in aria facendo un’acrobazia che sembra uscita dal cartone Holly e Benji per colpire il pallone e segnare. Che ricordo hai?
È stata una cosa irreale. Noi avevamo un obiettivo ben preciso mentre la Roma se non sbaglio era già tranquilla, aveva solo l’obiettivo di arrivare davanti alla Lazio. Eravamo sul 2-2 poi a pochi minuti dalla fine Paulo Sergio ha fatto il 3 a 2. Eravamo disperati anche se avevamo ancora l’ultima partita per salvarci. Poi però nell’azione finale ci fu un lancio su Murgita che spizzò la palla che però si alzò a campanile. A quel punto io ero in corsa verso la porta ho dovuto frenarmi, andare incontro alla palla e l’unica cosa che mi è passata per la testa è stata provare a tirare facendo una rovesciata ed è stato un gol molto bello.
Valtolina in A però non è stato solo Piacenza, ma soprattutto Venezia. Qui, anche guardando ai numeri, è forse dove ti sei espresso al meglio.
Sì è vero anche se le statistiche lasciano il tempo che trovano. Non sono mai stato un goleador, per caratteristiche il mio ruolo era quello di far segnare gli altri. Anche le richieste degli allenatori erano quelle. Mi si chiedeva di saltare l’uomo, andare sul fondo e mettere dentro palle per gli altri. Poi giocando sempre in squadre che dovevano salvarsi anch’io che ero un giocatore offensivo dovevo dare molto anche in fase difensiva. Venezia è stato più che altro il completamento di un percorso di crescita, vi arrivai nella piena maturità sportiva.
Nel tuo primo anno a Venezia – 1998-99 – avete raggiunto una miracolosa salvezza soprattutto grazie a Recoba. Per chi vi vedeva da fuori sembrava che l’uruguaiano fosse il classico coniglio pescato dal cilindro. Fu realmente solo merito del “Chino”?
Eravamo una buona squadra e buon gruppo. Io, arrivando da Piacenza, avendo fatto un paio di campionati in A, avevo un po’ più di esperienza degli altri però molti in quella squadra in Serie A avevano giocato poco. Pagammo lo scotto iniziale. Quando arrivò Recoba, che di esperienza non ne avevamo molta di più degli altri, portò comunque il suo talento eccezionale. Fu la ciliegina sulla torta. Le sue qualità si sposarono perfettamente con il gruppo. Con Alvaro in campo sapevamo che dovevamo prendere qualche punizione, guadagnare qualche calcio d’angolo perché una palla da fermo con lui diventava un’occasione da gol.
Non stupisce quindi che quella stagione sia finita nella storia del Club e sia rimasta indelebile per tanti veneziani. Dai, raccontaci qualcosa di quel periodo.
Mi ricordo una cosa divertente. Il giorno del compleanno di Recoba il mister (Novellino n.d.r.) gli aveva fatto un regalo. Gli portò un cigno in vetro di Murano: noi non capimmo e chiedemmo al mister il perché di quel cigno. E lui ci rispose “Lo chiamate tutti cigno e allora per me è un cigno”. Noi scoppiammo a ridere e passammo poi il tempo a spigare che Chino non stava per cigno.
L’anno dopo invece fu una via crucis iniziata con Spalletti e finita con Francesco Oddo e una retrocessione. Com’era Luciano Spalletti e avresti mai pensato che potesse arrivare ad allenare club importanti come Roma e Inter?
Spalletti è stato un allenatore che mi è piaciuto tantissimo, uno di quelli che avrei voluto incontrare prima. Ricordo che nelle partitelle estive, voleva che giocassi più avanti possibile, se mi vedeva rientrare oltre la metà campo mi sostituiva. Voleva che restassi sulla metà campo avversaria. Io sposai subito il suo pensiero, pensai “cacchio, finalmente un allenatore che mi fa correre meno”. Nei primi anni della sua carriera ha pagato la mancanza di esperienza in A e soprattutto la stagione con la Samp finita con la retrocessione.
Nella tua lunga carriera hai avuto modo di indossare le maglie di Piacenza e Chievo, due realtà quasi speculari. Gli emiliani resistevano miracolosamente in A con una squadra “autarchica”, il Chievo invece era alla prima stagione in B. Ci racconti qualcosa delle due esperienze?
Del Chievo mi ricordo benissimo, arrivai nel gruppo storico che vinse la C1, anch’esso con poca esperienza in B. A Verona è stato un anno molto bello, in mezzo c’è stato il derby (il primo con il Verona n.d.r.). Una partita l’abbiamo pareggiata e una addirittura vinta. E poi non avevamo tantissimi tifosi, potevi lavorare senza la pressione addosso. Passai dall’essere in panchina con il Bologna contro la Spal, in uno stadio con 30.000 persone, all’ambiente del Chievo.
Nella tua carriera sei stato allenato da grandi tecnici: oltre a Spalletti sei stato con Ulivieri a Bologna, con Malesani al Chievo ma hai avuto modo di conoscere anche Mutti e Novellino. Quale ti ha colpito maggiormente e quale hai trovato più innovativo?
Ulivieri è stato un mago ma ho avuto anche Prandelli e ho un buon ricordo di Malesani. È stato un allenatore innovativo soprattutto nei suoi primi anni di carriera; mi ha lasciato insegnamenti che tuttora applico nel mio lavoro di istruttore in una scuola calcio.
Forse non tutti sanno che tu hai giocato anche in Nazionale, quella della Padania. Dai raccontaci un po’ quell’avventura.
Ma non solo, sono stato anche campione del mondo (nel 2009 quando la Padania vinse la Coppa del Mondo VIVA n.d.r). La cosa nacque così: prima di essere selezionato dal tecnico, mi chiamò Maurizio Ganz che mi disse di aggregarmi alla Nazionale perché ci si divertiva, poi si andava per qualche settimana a fare tornei in giro per il mondo. Aspettai un po’ a rispondere perché non volevo entrare in un discorso politico, all’epoca – come oggi – non mi riconoscevo in nessun politico. Poi decisi di accettare solamente per la voglia che avevo di giocare e devo dire che mi divertii. Quando mi ritirai dal calcio giocato mi chiesero di fare anche l’allenatore per i mondiali CONIFA del 2014. Fu divertente poi però dopo quell’esperienza come CT scelsi di non andare più avanti perché molta gente confondeva l’aspetto sportivo con quello politico.