Settimio Lucci, storia di un difensore che segnava solo all’Inter
La provincia ha i suoi totem, ha le sue certezze: qualche tempo fa, in tempi più statici, ancora più evidenti. C’erano nomi e cognomi che portavano con loro sicurezze e dati per scontato che se non erano scritti sulla pietra, poco ci mancava. Una di queste combinazioni arrivava dritta al nome di Settimio Lucci, roccioso difensore centrale che per tre lustri, a partire dalla metà degli anni Ottanta, coincise con i termini salvezza e promozione. Due facce della stessa medaglia per chi non può competere con le compagini più blasonate. Lucci era un difensore figlio del suo tempo, sapeva marcare l’uomo ed era pagato per questo: il suo compito era quello di aiutare la propria squadra a non prendere gol, a segnarli ci pensava qualcun altro che gioca più avanti. Era essenziale nel gioco, quanto necessario nel suo posizionarsi al centro della linea difensiva: senza fronzoli, senza essere un uomo copertina, ma con in dote la garanzia di affidabilità e solidità. Due caratteristiche su cui si costruiscono stagioni vincenti. Se in provincia non potevi permetterti Baresi o Bergomi, potevi sicuramente puntare su Settimio Lucci.
Da quando debuttò in A con la maglia dell’Avellino nella stagione 1983-84, il difensore di Marino, provincia di Roma, è stato perno di tante difese di provincia. Prezioso baluardo per chi puntava alla risalita in B e imprescindibile muro per chi perseguiva il motto “prima non prenderle” alla base di tante salvezze. Come scrivevamo prima Lucci evitava i gol non li segnava, soprattutto in Serie A, così ripercorrendo a ritroso la sua carriera è curioso notare che c’è stata una sola vittima in questo senso: l’Inter.
Ma andiamo con ordine. La trafila di Settimio inizia con l’esordio in Serie A con la maglia dell’Avellino: ha appena 18 anni ed è compagno di squadra di gente come Ramon Diaz e Barbadillo. Arriva in prestito dalla Roma con cui ha visto la festa scudetto anche senza parteciparvi attivamente.
L’Avellino, dal canto suo, è al primo anno del post Sibilia – l’istrionico presidente che aveva portato la A in Irpinia – e anche grazie alle buone prestazioni di Lucci riesce a mantenere la categoria. I campani chiudono la stagione 1983-84 con un undicesimo posto in campionato: il difensore scende in campo quattordici volte trovando la gioia della prima rete e in Serie A. Non succede in una partita qualsiasi. Il 4 dicembre 1983 allo stadio Partenio arriva l’Inter di Gigi Radice, forse non una squadra memorabile, comunque una grande della Serie A. I nerazzuri possono vantare un reparto avanzato di tutto rispetto con i campioni del mondo Aldo Serena e Alessandro Altobelli e l’estro del tedesco Hansi Müller. La partita, pur essendo equilibrata, sembra dire bene agli uomini di Radice che, trovato il vantaggio al 15’ con Serena, pare siano in grado di controllare il risultato senza troppi affanni. Ma gli interisti non fanno i conti con la tenacia degli irpini e soprattutto con la testa di Settimio Lucci che, sganciatosi in avanti, nell’ultimo assalto biancoverde, riesce a indirizzare la sfera alle spalle di Walter Zenga. Finisce 1-1, con uno stadio in festa e un ragazzino di diciotto anni che per un giorno finisce sui titoli dei giornali sportivi locali e nazionali. A fine stagione per gli irpini sarà salvezza ma per Lucci è tempo di tornare all’ovile giallorosso.
Per lui una stagione e mezza da riserva, una manciata di presenze prima di passare, nell’ottobre del 1986, all’Empoli. I toscani, in quel momento, sono la favola della provincia italiana, con il loro esordio in A e con un’impresa disperata da compiere che risponde al nome di salvezza. Incredibilmente, nonostante la sterilità offensiva, solo 13 reti all’attivo, i toscani riescono a centrare l’obiettivo mantenendo la categoria per un altro anno. Protagonista di questa guerra di resistenza, Lucci, che là dietro tiene in piedi un fortino quasi sempre sotto assedio. La stagione successiva il centrale è confermato: in panchina c’è sempre Salvemini, ma gli azzurrini non sono più gli stessi. I promettenti Osio e Baiano sono stati ceduti a Napoli e Parma e la manovra empolese ne risente tremendamente. C’è la bionda chioma di Johnny Ekström e la vena realizzativa di Enrico Cucchi ma non basta. Così i toscani saranno costretti a dire addio alla A, condannati da un 18° posto finale che non ammette repliche. Nonostante siano arrivati risultati prestigiosi come la vittoria sulla Juventus, alla seconda giornata, il successo sulla Roma, sempre al Castellani, l’exploit esterno contro il Torino e il pari casalingo contro l’Inter. L’ultimo risultato di prestigio è figlio del secondo e ultimo gol in Serie A di Lucci, ancora contro la difesa nerazzurra. La dinamica è simile a quello segnato qualche anno prima con l’Avellino: su un calcio d’angolo per l’Empoli battuto dalla destra si accende un gran guazzabuglio in area interista. La sfera arriva sulla testa del 10 empolese, Incocciati, che la prende troppo bene, tant’è che il pallone si stampa sul palo alla destra di Zenga. Ma in quel momento entra in scena l’attaccante che non c’era, Settimio Lucci, che in mezza rovesciata ribadisce in rete. Il Castellani è un unico grido che ripete “Gol!”. La partita finisce così con un pareggio che sta strettissimo ai padroni di casa costretti a vedere uscire, come migliore in campo, il portiere dell’Inter Zenga e con il pubblico che abbandona lo stadio con negli occhi il gesto da rapace d’area di Lucci. Il difensore che per un attimo si trasformò in centravanti.